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Pontormo abitava un "casamento da uomo fantastico e solitario". Nel quale uccellescamente si chiudeva. In alto. In una torre impraticabile, che solo una scala di legno metteva in comunicazione con il mondo. E che il più delle volte al mondo negava accesso. Dentro questo nido d'aquila, Pontormo lavorava. Ma stava anche acquattato. Vi ruminava il mondo, e vi faceva ragioniera computazione delle quotidiane spicciolature. Né disattendeva a un faticoso colloquio con le voci e i suoni che salivano dalla strada: dalla porta da basso. Li recensiva, anzi. E li interrogava: "domenica fu pichiato...: non so quello che volessino". Era un'interrogazione all'interrogazione degli amici. Alla loro congiura. Al loro complotto affettivo. Lui era invisibile ascoltatore. Un collezionista di rumori: di picchi e cigolii. E di voci, delle quali certificava la qualità interrogativa in un breviarietto segreto: accanto ai raschi di gola, all'iroso gorgoglio della bile agitata e al rugghio delle viscere digiune. (it) |