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Il grande Antonio Canal parte dapprima dalla secca "veduta" romana nel genere del Vanvitelli e del Pannini; poi, per essere più vero, si vale della "camera ottica", e proprio allora, miracolosamente, versa in poesia. Quando si pensi che sessant'anni prima a Venezia andavano per la maggiore i paesaggi di Monsù Cussin, mentre in Olanda il Vermeer dipingeva la veduta di Delft, s'intenderà su che piano europeo Canaletto abbia ora levato la pittura veneziana. Quella sua certezza illuministica di verità assoluta, volta alla luce dorata, a traversoni d'ombra, dei pomeriggi inutili in una Venezia che si sbriciola e screpola come le rughe delle sue mirabili acqueforti, ha la mestizia stereoscopica delle vedute del "mondo nuovo. (it) |