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quando, per rendere più tenera la carne degli animali maschi, preveniamo, con la castrazione, la durezza cui altrimenti giungerebbero tendini e ogni altra fibra, ritengo che ciò dovrebbe muovere a pietà ogni creatura umana, se si pensa alla crudeltà della cura con cui li si ingrassa per ucciderli. Quando un grosso e generoso torello, dopo aver resistito a colpi dieci volte più forti di quelli che avrebbero ucciso il suo assassino, cade infine tramortito, gli si lega la testa a terra con le corde e gli viene inferta una larga ferita nel collo; quale mortale può, senza provare pietà, ascoltare i penosi muggiti impediti dal prorompere del sangue, i dolorosi sospiri che denunciano quanto forte sia la sua angoscia, i profondi gemiti disperati che provengono dalle profondità del forte e palpitante cuore, guardare le violente convulsioni delle membra, vedere, mentre il sangue fumante scorre via da lui, l'occhio appannarsi e offuscarsi, e osservare infine la lotta, l'ansito, gli ultimi disperati sforzi per la vita, segni certi della sua prossima fine? Quando una creatura ha dato tali convincenti e innegabili prove del terrore, della sofferenza e dell'angoscia che prova, esiste un seguace di Descartes così uso al sangue da non rifiutare, con la sua pietà, la filosofia di quel vano ragionatore? (it) |