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Il nostro dialetto, fino al trecento, era stato scritto. Lo aveva posto negli atti suoi pubblici la Cancelleria della Corte Aragonese, lo avevano usato le medesime opere letterarie di quel tempo, i poemi, le cronache, i trattati: ed esso era sembrato – e fu davvero – una lingua di tutte le voci più popolari e più vivaci, sincera, spontanea, facile per ogni comune necessità e accessibile a ogni uso e a ogni persona.
Appresso, tutto il secolo decimoquinto s'era continuato a giovare di quel pittoresco ed efficace vocabolario: ma già esso era sceso più basso, l'accademia alfonsina già stimolava, nel quattrocento, le più singolari intelligenze, e il Cariteo, Iacopo Sannazzaro, Pietro Summonte, Gabriele Altilio avevano per le mani la cosa pubblica e le lettere a un tempo. (it) |