so:text
|
In un ospizio fuori Mosca, malato, cieco e ormai pazzo, è morto Varlam Tichonovic Shalamov, autore dei "Kolymskie rasskazy", i racconti della Kolimà, il massimo testo tramandato della letteratura concentrazionaria nell'epoca del terrore staliniano. Lassù, già dagli anni '30, si operava la "perekovka", la così detta riforgiatura degli uomini a 50 sotto zero, fra norme di lavoro forzato che imponevano di scavare fino a 800 "pudy" al giorno nella "merzlotà", il ghiaccio fossile delle miniere d'oro, e le interminabili fucilazioni d'ogni notte, fra torce fumanti e fanfare. Là, prima che a Treblinka-Auschwitz, apparve l'uomo demolito dalle violenze fisiche e ideologiche del XX secolo, il "dochodjaga", il corpo senza peso, il relitto umano giunto alla fine moltiplicato su scala di massa già impensabile nelle premonizioni di Dostoevskij o Korolenko. (it) |