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Vento, scampanio, agavi che ondeggiano come alberi maestri. Salita al castello piemontese, costruito su un basamento di pietre puniche di dimensioni gigantesche. Bartoloni traguarda i punti cardinali con grandi manate nell'aria libera. "Ecco, qui sei sull'ago del compasso. Intorno hai Trapani, Cartagine, Roma, le Baleari. Tutte a un tiro di schioppo. Più lontano Marsiglia dei Greci. Dall'altra parte il faro d'Alessandria d'Egitto. Un po' più a nord, la Colchide, in fondo al Mar Nero. A occidente, le porte dell'oceano, le Colonne d'Ercole. Traguardi questo smisurato campo d'azione e misuri tutta la potenza marittima di Cartagine."
Ho un leggero senso di capogiro, come se percepissi il movimento della Terra nello spazio. Mi accorgo che il volto del mio compagno è segnato da una smorfia. Non esprime un fastidio momentaneo, ma uno stabile rifiuto della contemporaneità. Bartoloni sospira: "Ho girato tutto il Mediterraneo e vedo solo un incommensurabile degrado... Nei tempi grandi c’era conoscenza vera dei venti e del mare... l’acqua univa per davvero, era un formidabile fattore di coesione... Quelli delle navi erano normalmente equipaggi misti... Esisteva un'umanità colta capace di commerciare da Gibilterra ai mari d’Oriente, un mondo cosmopolita che è sopravvissuto quasi senza scosse fino alla metà del secolo scorso, quando è stato spazzato via dall'ultima stagione dei nazionalismi... (it) |