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Tutti i medici tradizionali credevano nelle persone, e i pazienti parlavano loro della propria natura. La natura veniva sperimentata, veniva sentita, odorata, assaporata dalle persone. Come lo spettatore, nel teatro greco, veniva educato a «sentire» l'attore, così il medico – quasi partecipasse a una tragedia greca – veniva educato, attraverso la mimesis , a sentire la tragica vicenda di quella persona che sedeva dinanzi a lui e che, nella sua condizione umana, si era trovata in qualche guaio, in qualche contrarietà; e la natura cercava di guarire se stessa. Il concetto di salute non esisteva; esisteva solo l'idea di una natura più o meno capace di guarire costantemente se stessa. E ciò che il medico faceva, con il consiglio, con l'empatia, col potere della parola – la parola che risanava – e forse con pillole di coralli macinati o di mercurio, che sono altamente tossiche, come diremmo oggi, consisteva nell'incoraggiare la natura, nel rafforzare la natura, a compiere la propria azione guaritrice. Oggi ci è difficile pensare in questo modo alla funzione del medico. Pensiamo sempre che egli usi qualche strumento della sua professione per fare qualcosa al sistema o al sottosistema che c'è nel paziente, e che lui, non il paziente, conosce. (it) |